Il mio nuovo attaccapanni
Sabato scorso ho comprato il mio nuovo attaccapanni.
In realtà la sua funzione primaria (come mi ha ripetutamente spiegato il commesso del negozio) sarebbe stata un'altra: un attrezzo per il fitness, insomma per farla breve un articolo sportivo.
Portato a casa il pacco (che pesava come un cane morto) ho scartato il tutto e mi sono accorto con grande stupore che era smontato in almeno 82 pezzi, come il più elaborato dei comodini dell'Ikea.
Armatomi di pazienza mi sono messo subito all'opera e, in meno di 10 bestemmie, sono riuscito a completare il montaggio, rallegrandomi vivamente per il fatto che mi sono avanzati soltanto due pezzi. Osservando attentamente il disegno di montaggio (che riportava alcune grafie inintellegibili, forse in lingua Inuktitut) sono riuscito a collocare le due rondelle avanzate, non senza ricoprirmi di grasso fin dentro le orecchie.
Montato l'artefatto ho cercato, domandando a mia moglie, quale fosse lo scopo del gioco e, soprattutto, dove andasse mandato il pallone per fare goal. Forse in mezzo ai manubri?
"Quale pallone?" ha domandato allibita mia moglie, "questo è un attrezzo per fare sport, per faticare e perdere i chili sovrappeso".
Queste parole, dette a uno come me - che ho studiato materie atroci e orribili come la ragioneria e la tecnica bancaria pur di ottenere un diploma che mi permettesse di trovare un impiego dove la fatica, intesa come sforzo fisico, fosse minore o uguale a zero - hanno subito accresciuto la diffidenza e il sospetto.
Andando a letto, però, mi sono tranquilizzato e ho persino augurato allo strumento di tortura una lunga permanenza, come appendiabiti, in camera da letto e un lieto riposo, fra non più di un annetto, fra gli oggetti dimenticati ed inutili del garage.
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